8 giugno 2011, ore 10:30, Accademia delle Arti, Reggio Calabria (Proiezione accademica)
9 giugno 2011, ore 18:00, Teatro Loreto di Reggio Calabria; presenta Enzo Cataldo (Proiezione nazionale)
Presentazione Documentario: I Martiri di Gerace
diretto da Mimmo Raffa
scritto da Veneranda Legato
musiche di Giovanni Scapecchi
con il patrocinio del Consiglio Regionale della Calabria
La lotta per l’affermazione dei principi di libertà d’uguaglianza e di tolleranza è stata lunga sofferta e drammatica, e per i calabresi quella dei Martiri di Gerace è stata una tappa molto importante.
I loro nomi:
Michele Bello nato ad Siderno il 5/12/1822
Pietro Mazzoni nato a Roccella il 21/2/1819
Gaetano Ruffo nato a Ardore il 15/11/1822
Domenico Salvadori nato a Bianco il 24/12/1822
Rocco Verduci nato a Caraffa del Bianco l’1/8/1824
La loro età non superava i 28 anni quando furono fucilati per ordine del governo borbonico il 2 ottobre 1847 e i loro corpi furono gettati in una fossa comune detta “la lupa”. Appartenevano a famiglie facoltose ed erano stati inviati a Napoli per frequentare gli studi universitari necessari per il loro brillante avvenire, verso il quale sembravano indirizzati. Nella città partenopea si nutrirono delle nuove idee liberali e patriottiche che ormai circolavano in Europa fra gli strati della borghesia illuminata, e per la loro vivacità furono rimpatriati dalla locale gendarmeria. Inoltre Michele Bello, Gaetano Ruffo e Pietro Mazzoni erano massoni (i primi due iniziati nella Loggia “Losanna” di Napoli e il Mazzoni nell’”Umanità Liberale” di Catanzaro) portatori e testimoni di una morale che impone di essere tolleranti e rispettosi nei confronti di tutti gli uomini e della loro dignità. (I Martiri furono ispiratori di tutte le logge sorte nella Locride). In Calabria i giovani elaborarono un piano insurrezionale, insieme a G. Domenico Romeo di Reggio Calabria e approvato dal Comitato di Napoli, che prevedeva la sollevazione contemporanea di Messina, non avvenuta perché fallita sul nascere, di Reggio Calabria, soffocata nel sangue con la decapitazione di Romeo, e del Distretto di Gerace, per propagarsi poi in tutto il Regno. I Cinque si attivarono nell’ambito del Distretto e occuparono Bianco, Ardore, Siderno e Gioiosa Ionica al grido di W Pio IX, W l’Italia, W la Costituzione, abbatterono gli stemmi reali, abolirono la tassa sul macinato, catturarono il Sopraintendente di Gerace, il palermitano Antonio Bonafede, che si era distinto per l’odio e la ferocia dimostrati nella cattura e condanna dei Fratelli Bandiera, nella qualità di sottointendente di Crotone, tanto da costringere le autorità a trasferirlo proprio nella sede di Gerace; al Bonafede, costretto a seguire gli insorti, non fu fatta violenza, né ad altri. Avuta notizia del fallimento dell’insurrezione di Reggio Calabria e di Messina, temendo uno sbarco delle truppe borboniche, i rivoltosi si dispersero. I capi, rimasti soli, furono costretti a trovare scampo nella fuga. Traditi da Nicola Ciccarelli di Caulonia, nella notte tra il 9 e il 10 settembre, furono arrestati Michele Bello, Rocco Verduci, Domenico Salvadori e Stefano Gemelli, che furono condotti in carcere a Gerace. Mazzone e Ruffo, che si erano separati dai compagni per dirigersi verso Catanzaro, in un primo momemto evitarono la cattura, successivamente ritornati nella Locride furono arrestati, il 21 settembre Ruffo vicino Siderno e il giorno dopo Mazzone nei pressi di Roccella Ionica. Fallito il moto rivoluzionario con l’arresto dei capi della rivolta, venne il momento della resa dei conti. Il Bonafede manifestò di nuovo tutta la sua ferocia: sollecitò la Commissione militare giudicatrice a concludere subito i lavori, fece da “testimone implacabile con cinismo sfacciato e con viltà d’animo di fronte a quei giovani che, con tanta generosità, gli avevano salvato la vita, che ora egli così malamente usava vomitando accuse contro di loro”. Si attivò perché l’esecuzione fosse fatta in tempi brevi per non dare tempo al generale Nunziante inviato dal re a spegnere la rivolta di poter chiedere e ottenere la grazia sovrana, perseguitò dopo l’esecuzione anche i familiari e i compagni del moto con efferata determinazione, tanto da provocare un nuovo suo trasferimento. Gli insorti furono condannati “per essersi macchiati di lesa maestà e per aver commesso atti prossimi all’esecuzione di detti misfatti” e furono fucilati il 2 ottobre 1847 sulla Piana di Gerace. In effetti erano “colpevoli” di aver chiesto la Costituzione e il riconoscimento della dignità dell’uomo, calpestati da un potere assoluto e dispotico, nonostante che la Rivoluzione Francese, anticipata da quella americana, avesse affermato i diritti inviolabili dell’uomo e del cittadino. I loro corpi martoriati vennero gettati nella fossa comune detta “la lupa”. Alla fucilazione erano stati condannati anche Stefano Gemelli di Bianco e Giovanni Rossetti di Reggio Calabria, entrambi di 47 anni, ma la pena capitale fu commutata in 30 anni di carcere perché non considerati capi. Il vescovo di Gerace mons. Luigi Maria Perrone qualche giorno dopo, durante una funzione religiosa tenuta nella maestosa cattedrale normanna, esultò per la fucilazione dei Cinque, tenendo un’omelia sul tema “Moestitia nostra conversa est in gaudium”! L’esecuzione dei Cinque Martiri riempì di sdegno e d’orrore l’Italia e il mondo intero. In molte città si protestò e si celebrarono solenni esequie.Numerose furono le persone che, nelle varie regioni italiane, in onore della loro memoria, portarono il cappello alla calabrese. A Rocca di Neto, alcuni cittadini avevano organizzato il rapimento di Ferdinando II, ma furono traditi e arrestati. Il re, definito tra l’altro “ignorante e testardo, alieno dai buoni studi, che guardava di traverso gli uomini di lettere e scienze e li derideva col nome di pennaruli”, dopo quattro mesi dalla fucilazione fu costretto a concedere la Costituzione, che poco tempo dopo rinnegò. Il movimento insurrezionale capeggiato dai Cinque non ebbe un grosso seguito perché la gente comune non conosceva il significato di libertà -abituati per secoli alla monarchia assoluta- né quello di libertà di stampa -per una popolazione per la maggior parte analfabeta. Non c’erano elementi culturali sufficienti per legare le aspirazioni della borghesia e quelle del proletariato. L’azione rivoluzionaria non era matura; il popolo non era sufficientemente educato a sopportare il peso della libertà perché non ne conosceva i termini. Il moto, che in ogni modo contribuirà ad aprire le coscienze dei calabresi, fallì anche per l’impreparazione militare del seguito e per la mancanza di un capo che sapesse dirigere e coordinare la complessa operazione. Sul luogo della fucilazione sorge un monumento inaugurato il 7 giugno 1931, sul quale è collocato un pannello bronzeo raffigurante la fucilazione degli Eroi, opera dello scultore Francesco Jerace.