Note introduttive
Baudelaire vedeva nel vino una della scoperte essenziali per l’umanità, capace di accrescere i sensi e sviluppare l’intelletto, ma può davvero il vino essere più di una semplice bevanda e possedere un’anima?
La composizione si apre con un’introduzione ritmica affidata fondamentalmente al tamburo udu, che nella tradizione prende il nome di abang mbre, ovvero una brocca che viene percossa e suonata. La scelta di questo particolare strumento è voluta per ricreare una sorta di suono-risonanza-affinità con i corpi-contenitori-custodi del vino. In questo contesto l’udu richiama fortemente, in particolare attraverso il foro centrale, il suono dei colli delle damigiane e bottiglie di vino. L’introduzione è quindi una trama percussiva esaltata anche dai tongue ram del flauto basso e dagli slap toungue del clarinetto basso che riproducono lo stappo delle bottiglie.
Gli archi rappresentano un elemento di intrusione fino ad intensificare l’intera sezione creando un ritmo sempre più serrato. Questa sorta di danza propiziatoria serve ad esorcizzare il vino per liberarlo della sua anima, il soprano.
La cellula ritmica primaria è contenuta all’interno del titolo.
Questa esortazione strumentale sfocia nella recitazione del primo verso Un soir, l’âme du vin chantait dans les bouteilles che è affidata al direttore oppure ad una voce maschile dell’ensemble: difatti poi l’anima del vino, e quindi il soprano, parlerà direttamente in prima persona. Questa frase contiene le parole chiave iconografiche della composizione: la sera, l’atmosfera perfetta per la rievocazione; il canto, espressione linguistica dell’anima del vino attraverso il soprano e le bottiglie, i contenitori nei quali è racchiuso il vino ed imprigionata la sua anima.
Segue una parte misteriosa data dai multifonici del flauto e del clarinetto, dal vibrafono suonato con l’arco da contrabbasso e dagli archi la cui tessitura è brulicante. Questo è il primo contatto con l’anima attraverso il quale il vino umanizzato trascende la sua dimensione e assume parola e spirito. Il bastone della pioggia è elemento dominante a tale scopo sfruttato come simbolo di materializzazione dell’anima (entrata del soprano) e della sua esalazione finale (uscita del soprano).
Globalmente la scelta delle percussioni quali water gourd, foglie secche, chekeré, etc.. ha una valenza principalmente naturalistica e vogliono riportare l’attenzione sul rapporto vino/terra.
Nella parte finale troviamo lo chekeré che allegoricamente è l’antagonista dell’udu, lo strumento che ha esortato l’anima, e dà avvio quindi alla sua dissolvenza finale. Lo chekeré viene strofinato come metafora di un’antica lampada del genio e poi lanciato in alto e ripreso dall’esecutore per assumere il ruolo dell’ éternel Semeur.
Come una contro-esortazione, le foglie secche portano via come un soffio l’anima del vino e il bastone della pioggia fa esalare l’anima come fosse l’ultimo alito di vento sui campi dorati dell’autunno.
Giovanni Scapecchi












